Crisi francese, perché non è una buona notizia per le aziende italiane

Crisi francese, guai per l'Italia. La caduta a Parigi del governo François Bayrou lunedì scorso e la nomina del nuovo primo ministro francese, Sébastien Lecornu, hanno riportato la Francia in un apparente stato di calma ma sul paese pesano i conti economici da allarme rosso. Venerdì l’agenzia di valutazione del credito Fitch ha abbassato il rating dei titoli di stato della Francia e ha mandato in subbuglio il dibattito politico francese.
Nel mirino l'indebitamento del paese e il rischio di una crisi economica senza precedenti. Come ricordano dall'osservatorio Cpi, nel 2020 lo spread della Francia era tra i più bassi dell’Eurozona, ma negli ultimi anni si è alzato, mentre quello di altri Paesi, considerati più rischiosi, si è abbassato: i titoli francesi hanno ora tassi d’interesse superiori a Grecia e Spagna e pari a quelli italiani. Lecornu al momento non ha una maggioranza, deve trovare voti in parlamento per non venire sfiduciato appena insediato. Ha detto: «Il mio approccio è semplice: non voglio né l’instabilità né l’immobilità». Un segno di apertura verso l’opposizione e in particolare verso i Socialisti.
La crisi francese rischia però di impattare sull'economia italiana. Nel 2024 l’Italia è stata il secondo paese cliente della Francia, i settori più coinvolti nelle relazioni commerciali: meccanica, automotive, prodotti farmaceutici, elettronica, materie plastiche. Lo scorso anno le imprese italiane hanno esportato beni per 61,5 miliardi di euro (dati Ice) e ne hanno importati per 48,2 miliardi (dati Insee). Come ricordava Federico Fubini sul Corriere della sera: la differenza a favore dell’Italia è di oltre 12 miliardi di euro e va direttamente ad alimentare la crescita del Paese. Gli investimenti diretti esteri tra i due paesi sono poi rilevanti: la Francia è il primo paese investitore in Italia, con uno stock di investimenti in entrata di quasi 90 miliardi di euro; le imprese italiane hanno investimenti in Francia per oltre 44 miliardi. Non è quindi solo l’export italiano a soffrire se la Francia rallenta: la partita degli investimenti incrociati è decisiva.
Non è detto però che la crisi francese si trasformi in recessione, per ora la crescita c’è seppur debole, le istituzioni sono funzionanti, e non ci sono segnali imminenti di default. Ma l’instabilità politica rende incerto il percorso delle riforme necessarie (fiscalità, spesa pubblica, debito) che attende Lecornu. Se non ci saranno misure credibili, il costo del debito pubblico salirà con effetti sui tassi in Europa. Il rischio maggiore per molte imprese italiane, specie piccole e medie, è la perdita di competitività a causa del rallentamento della domanda francese, della possibile stretta creditizia e del rincaro del capitale.