Il futuro del lavoro nelle grandi città

Il futuro del lavoro nelle grandi città

Città meno caotiche e affollate, metropoli con servizi più efficienti e automatizzate grazie a 5g e intelligenza artificiale. Lavoratori divisi tra smart working e ufficio. È questo lo scenario disegnato dal McKinsey Global Institute che ha diffuso il suo ultimo rapporto su "The future of work after Covid-19". Un'indagine che esamina l'impatto a lungo termine di Covid-19 sul lavoro in diversi ambiti partendo dall'analisi della dimensione fisica dell’attività e valutando i possibili cambiamenti nel contesto delle grandi città.

Le attività produttive vengono suddivise in 4 categorie "in base alla vicinanza fisica, alla frequenza delle interazioni umane e al luogo in cui viene svolto il lavoro". La prima categoria è quella dei luoghi di svago e di viaggio (inclusi ristoranti e hotel), che impiegano più di 60 milioni negli otto paesi oggetto dello studio. C'è poi la seconda categoria che riguarda lavori che prevedono interazione con i clienti in presenza. È il caso della vendita al dettaglio e dell'ospitalità (150 milioni di occupati). La terza categoria è quella del lavoro d'ufficio basato su computer che interessa 300 milioni di persone. Infine c'è la produzione e lo stoccaggio (oltre 350 milioni di lavoratori). In questi 4 macro settori si concentra il 70% della forza lavoro globale.

La terza categoria è quella più presente nelle grandi città. Il lavoro "da computer" , spiegano i ricercatori, sarà remotizzato in modo strutturale nei prossimi anni. Le grandi città, poiché il lavoro a distanza riduce la domanda di trasporti, si svuoteranno e diventeranno sempre più luoghi di scambi e interazioni programmate. Le città secondo l'indagine diventeranno poi il fulcro dei servizi digitali con un aumento dei robot e dell'utilizzo dell'intelligenza artificiale nelle aziende.

Questo avrà un impatto anche sul mercato del lavoro. I lavori che richiedono poche competenze digitali subiranno una riduzione. La ricerca stima come oltre 100 milioni di lavoratori potrebbero dover cambiare lavoro entro il 2030, pari al +12% rispetto a prima del virus (con punte del +25% nelle economie avanzate). I lavoratori senza una laurea, le donne, le minoranze etniche e i giovani potrebbero essere i più interessati.

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