Smart working, gli effetti negativi per le donne
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Non un privilegio ma uno spintone che ricaccia le donne in casa. Dopo un anno di smart working, esaltato come strumento di conciliazione della vita casa-ufficio, iniziano ad emergere anche i lati oscuri del lavoro da remoto. Se le aziende lamentano la mancanza di coordinamento e di confronti vis a vis per favorire innovazione e creatività tra i team, alle lavoratrici è chiaro che lavorare da casa significa anche più incombenze casalinghe.
Il primo grande effetto collaterale dello smart working è un aumento del cosiddetto lavoro domestico non retribuito. Un problema femminile che viene, in realtà, da lontano. Si pensi che secondo i dati Ocse nel 2019, in Italia, il 70% delle ore di lavoro gratuito tra le mura domestiche è stato svolto dalle donne. E complice il Covid, le responsabilità sulle spalle delle donne nell'ultimo anno si sono allargate includendo la didattica a distanza dei figli. In questi giorni all'apice considerando le nuove regioni rosse.
La ricerca, "La condizione economica femminile in epoca di Covid-19” realizzata da Ipsos per la onlus WeWorld denuncia il problema: nonostante gli aiuti familiari, ripartiti dopo il primo lockdown ancora il 38% delle donne (2 su 5) dichiara di farsi carico da sole di persone non autonome (anziani o bambini). Un dato che sale al 47% tra le donne tra i 25-34 anni, concentrate sui figli minori, e al 42% nella fascia 45-54 anni, che curano soprattutto gli anziani.
Un numero su tutti per inquadrare quanto la pandemia abbia ampliato le cosiddette disuguaglianze di genere: delle 310 mila richieste di congedo parentale con causale Covid presentate all'INPS la maggior parte è arrivata dalle lavoratrici (243.358). Segno che sulla distribuzione dei compiti domestici in famiglia, i passi avanti da fare sono molti e tutti necessari.